Inditex – per chi non lo sapesse – è il colosso spagnolo che controlla marchi come Zara, Bershka, Stradivarius. Un gigante da miliardi, che detta le regole della moda veloce (e apparentemente “etica“) con la stessa delicatezza con cui un bulldozer attraversa un campo di margherite. Vuole sostenibilità, trasparenza, tracciabilità.
Ma dietro queste etichette patinate, che cosa resta della realtà delle filiere?
Possiamo raccontarvelo noi, tramite una testimonianza di Giacinto Gelli.
E non è un racconto edificante.
Per lavorare con Inditex ogni fornitore, ogni anello della catena produttiva deve avere un “bollino verde“. Un lasciapassare. Basta che uno, uno solo, diventi “rosso“, e tutto il lavoro salta. Anche se tu avevi comprato da lui quando era verde. Anche se hai tutte le carte in regola. Anche se hai rispettato ogni parametro. Poco importa: sei fuori.
E allora, eccoci nel balletto grottesco del semaforo etico. Oggi sei dentro, domani sei fuori. Dopodomani, magari rientri. Ma intanto hai perso tempo, soldi, credibilità.
Come si può pianificare un’attività produttiva in queste condizioni? Come si può costruire una filiera solida se i criteri cambiano da un giorno all’altro?
È un sistema che predica la trasparenza, ma genera confusione. Che pretende la stabilità etica, ma impone l’instabilità operativa. Che ti chiede di essere impeccabile, ma ti punisce anche quando lo sei.
E il paradosso è questo: più ti impegni a essere sostenibile, tracciabile, conforme, più resti incastrato in una rete di burocrazia opaca e controlli arbitrari. Perché poco importa chi ci rimette.
Se la sostenibilità diventa un terno al lotto, non è più un valore, ma solo un’altra forma di controllo.